28 novembre h. 21.00
Argómm Teatro
presenta
ENSEMBLE
in
Arberìa
Livio Andronico chitarra classica
Lucio Bardi Chitarre, mandola, bouzouki
Francesco Mazza voce, chitarre, mandola
Massimo Spinosa basso elettrico
spettacolo inserito nella rassegna SCENA 9
Ingresso Libero
(…) «Ku vati moti çëishnjëherë / kur u e ti, zëmër, duhëshimmirë?». La sua voce s’increspava di parole e suoni misteriosi che fluttuavano lenti nell’afa, come onde di spuma in riva al mare.
Tratto da CARMINE ABATE, La festa del ritorno (Mondadori 2014)
Arberia è il secondo disco del gruppo Ensemble e ha come intento non tanto la riscoperta di un repertorio, quanto piuttosto la riappropriazione di una lingua, l’arbëreshe degli albanesi di Calabria e, di conseguenza, di una cultura.
L’Arberia è il Luogo degli arbëreshe una sorta di Macondo mitico e reale dove gli Albanesi dal 1450 si sono rifugiati. Una cinquantina di comunità di origine albanese stabilitesi dopo la diaspora nel sud Italia per fuggire dalla dominazione turca.
Arberia è un percorso di musica e immagini intimamente radicate nel sentirsi arbëreshe, che parla di nuove e antiche migrazioni: gommoni, lotte, nostalgie, benessere e sentimenti condivisi raccontati con nuove e originali canzoni, solo il brano Oj e Bukura More appartiene alla tradizione. Il progetto riscopre l’arbëreshe, la lingua ancestrale delle prime comunità albanesi in Calabria, un idioma che per decenni è rimasto nascosto, quasi sussurrato, e che ora rivive, grazie anche a queste note, riportando tutta la forza di uno sradicamento culturale, di una fuga iniziata cinque secoli fa e che ha visto interi paesi di cultura arbëreshe emigrare per la sopravvivenza. Un flusso mai concluso. Una diaspora sempre viva, oggi come allora, in musica.
La nonna cominciava a lavorare all’uncinetto sotto l’ombrellone e per alleviarmi la noia mi raccontava storie antiche, spesso me le cantava con una voce struggente che ho ancora oggi nelle orecchie. Erano storie di persone che mi fantasticavo identiche a mio padre: vivevano lontane dalla propria famiglia; a volte riuscivano a ritornare a casa, come Kostantini i vogël, dopo nove anni, nove mesi e nove giorni, giusto in tempo per evitare che la moglie si risposasse con un altro; a volte piangevano una terra lontana chiamata Arbërìa o Morea, dove erano seppelliti i propri cari, «gji‘ tëmbluarposh‘ atëdhe», una terra bellissima che non avrebbero più rivisto. Quelle persone erano i nostri antenati, mi spiegava la nonna, e moltissimi anni prima erano sbarcate proprio sulla spiaggia della Marina; poi, risalendo fiumi e valloni, si erano fermate per sempre su una collina da cui si poteva vedere il mare.
Tratto da CARMINE ABATE, La festa del ritorno (Mondadori 2014)