di e con Antonello De Stefano
domenica 21 aprile ore 16,30
“Una finezza elegante ma perturbante il lavoro di Antonello De Stefano. In scena lo sviluppo delle tensioni di peculiare dolore, la greca tragedia delle complessità morali, il ritmo partenopeo e la micidialità della ricostruzione storica. Sullo sfondo, le grigie eminenze e le centrifughe eversioni rispetto ai concordati scopi della Carta Costituzionale, sul palco, lì davanti agli occhi, uno che fa casino con la voce Moltitudine che impressiona, con un destino da sopravvissuto. Trovarselo davanti, è come fare un viaggio nella notte dei tempi. Il suo “Teatro Storia” è orazione civile autentica che ti smuove la coscienza, ispirata dalla tradizione popolare dei cantastorie dove Antonello si trasforma in una vera e propria sorgente di emozioni e di informazioni scarsamente reperibili nel mercato tradizionale della cultura italiana. La sua narrazione è cruda, ironica, cinica ed irriverente, ma alla fine quel che ti rimane dentro e porti via con te, è un’esortazione a far prevalere sempre e comunque l’aspetto umano delle cose, la necessità di conoscere e di coltivare la memoria. E poi Walter Tobagi, silenziato. Il suo sorriso, il corpo a terra, il flusso di sua coscienza in drastica battuta. Scriveva di che cosa. Sapeva di che cosa. E cosa denunciava. Processo ad una generazione che sperava fino oltre l’orizzonte, sacrificata, come in certi riti, ad imbonire il buio cielo barattando beni, denaro, territorio e rango. Tutto questo è da vivere come quando si opta finalmente per una cura, una vera cura, che prevede veleno da asportare al rettile. Quando cala il sipario, una pace solida come dopo averla detta tutta. Con maestria spietata.
La qualità dello spettacolo è alta e per darvi un’idea della bravura di Antonello De Stefano, non è blasfemo usare come metro Maestri assoluti del monologo come Massimo Troisi e Marco Paolini. Sono certo che dopo averlo visto, vi ricorderete di questo paragone con mostri sacri del palcoscenico e non vi risulterà inappropriato.
Ne vale la pena.”
Nadia Negri Pizzini